Domenica 10 novembre 2019 - Oratorio San Filippo Prato

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Domenica 10 novembre 2019

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COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 10 NOVEMBRE 2019
XXXI DOMENICA PER ANNUM


 
Dal Vangelo  secondo Luca (Lc 20, 27-38)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

 
Ovviamente non entro in merito a tutte le problematiche presenti in questo brano evangelico. Mi soffermo su un aspetto che mi sembra essere particolarmente importante per la nostra vita cristiana. Al di là del problema “resurrezione dei morti e vita futura” che certamente costituisce il nucleo dell’episodio, o meglio della discussione tra Gesù e i sadducei, notiamo che sostanzialmente la perplessità dei sadducei di fronte alle parole di Gesù nasce da un fondamentale equivoco da parte loro: mentre Gesù parla di cose “dell’altro mondo” e prospetta una visione cristiana sia dell’aldiquà che dell’aldilà, i sadducei, pur essendo credenti, di fatto esprimono una visione tutta terrena della realtà. Cerco di spiegarmi; i sadducei appartenevano al variegato mondo religioso di Israele; si trattava di un gruppo formato in prevalenza da esponenti della classe sacerdotale, erano quindi credenti nel Dio dei Padri (d’altronde l’ateismo come lo intendiamo noi, nell’antichità non appare) anche se ammettevano alcuni aspetti religiosi piuttosto di altri. Nei loro confronti si differenziano i farisei che, per certi versi, nelle loro credenze religiose sotto alcuni spetti saranno anticipatori del cristianesimo (come ad esempio la fede nella risurrezione dei morti). I sadducei appunto, tra le altre cose, a differenza dei farisei non credevano nella risurrezione, da qui la loro domanda/trabocchetto nei confronti di Gesù, o forse più propriamente una domanda/presa-in-giro, perché è piuttosto evidente l’aspetto beffardo delle loro parole. La questione però che mi interessa rilevare e che trovo importante per la nostra fede cristiana è fondamentalmente questa: costoro che, comunque, sono dei credenti o si definiscono tali, non valutano le cose con lo sguardo della fede, aperta alla “novità” di Dio sull’esistenza umana, ma persistono nel rimanere ancorati ad una visione terrena delle cose, una visione terrena che alla fine impedisce loro di cogliere il vero senso della vita futura dei risorti. Tra loro e Gesù vi è una sorta di afasia, di incomunicabilità, dovuta al fatto che Lui, Gesù, e loro, i sadducei, sono su due “pianeti” diversi, parlano due linguaggi diversi, hanno modi di ragionare differenti. Così, mentre Gesù parla di una vita futura che sarà ovviamente diversa da quella terrena, i sadducei pensano che la vita futura sarà una specie di riproduzione di questa terrena, e ciò fa apparire ridicolo, ai loro occhi, il mistero della risurrezione. In sostanza – penso che abbiate già compreso la conclusione – questi sadducei, pur dicendosi credenti, in realtà non comprendono quello che vuole dire Gesù perché la loro visuale – cioè il loro modo di pensare, di considerare le cose – è di fatto tutta terrena, essi cioè non hanno acquisito gli orizzonti straordinari ed infiniti di Dio e la sua logica. È, purtroppo, un discorso che ritorna e che abbiamo considerato altre volte; credenti che non pensano veramente secondo un’ottica di fede ma secondo una visuale terrena, e che alla fine, proprio per questa visuale non-credente non comprendono realmente quello che Gesù vuole dire e ciò che Egli è venuto a realizzare nella sua opera di redenzione dell’umanità. Per questi credenti – e capite bene che a questo punto ormai non mi riferisco più ai sadducei del tempo di Gesù ma ai “nostri” cristiani! – per questi credenti, si diceva, il messaggio di Gesù, la reale portata della sua opera redentiva e, in ultima analisi, Gesù stesso, restano su un altro pianeta, fondamentalmente incompresi da essi e, per loro, incomprensibili; la loro fede si dirige così non verso il “vero” Gesù e la sua salvezza, ma verso un Gesù in qualche modo costruito da loro stessi, adeguato ai parametri del pensiero mondano, dal quale pensiero questi credenti non riescono a scollarsi, tanto esso è radicato in loro più del loro essere cristiani. Il problema – permettetemi il giudizio, che tuttavia parte da semplice e oggettiva constatazione, anche se poi l’ultima parola, quella vera, spetta a Dio – il problema, dicevo, è che questo tipo di credenti sembra costituire la maggior parte dei cristiani; persone dalla mentalità e dalla visione del mondo tenacemente ancorata ad una logica terrena, di fatto non aperta seriamente alle possibilità dell’onnipotenza divina, non aperta cioè a quel “al-di-là” a quel “andare oltre le cose di questo mondo” che è proprio il senso della salvezza che Gesù è venuto a portarci: una vita umana “divinizzata” nell’altra dimensione, quella di Dio, che avrà modalità di essere diverse rispetto a quelle di quaggiù. Credenti simili, ovviamente, non colgono e non possono cogliere il senso vero della loro fede; in essi la visione realmente credente di sé stessi e della loro vita rimane atrofizzata, e Gesù viene compresso nell’angusto spazio della visuale terrena. Ad essi non tornano mai pienamente i conti della propria fede, proprio perché questi “conti” sono fatti per gli orizzonti infiniti della vita eterna e non per i piccoli “calcolatori elettronici” delle cose di questo mondo.

Padre Stefano

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