E LA VIGNA SARÀ NOSTRA - Oratorio San Filippo Prato

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E LA VIGNA SARÀ NOSTRA

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Domenica 8 ottobre 2017

E LA VIGNA SARÀ NOSTRA…

Ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo – l’uditorio delle parabole evangeliche non è mai di secondaria importanza! – Gesù rinfaccia di non aver servito Dio come avrebbero dovuto; invece di fare del popolo d’Israele uno strumento per la salvezza di tutte le genti, essi lo hanno trasformato in un territorio privato, se ne sono impossessati e, gestendolo secondo i loro criteri e per i loro interessi, ne hanno deturpato la vera ragion d’essere, divenendone di fatto i padroni. Questo, in sostanza, il senso primo di questa parabola. Da qui trasportiamo il significato di questa pagina evangelica alla Chiesa – e soprattutto a coloro che nella Chiesa hanno il dovere di insegnare e guidare il popolo “santo” di Dio – e poi a ciascuno di noi. Nella Chiesa rischia di verificarsi la stessa cosa quando i cristiani in generale, e i pastori in particolare (non dimentichiamo che nel brano evangelico Gesù si rivolge non a tutto il popolo d’Israele ma ai suoi capi religiosi!) si arrogano il potere di gestire la “proprietà di Dio” secondo criteri personali; invece di servire la Verità, invece di essere semplici ed umili “vignaioli” che lavorano un terreno che non appartiene loro e del quale devono consegnare i frutti al Padrone, si trasformano in “padroncini” personalizzando il messaggio evangelico e trasformando la Chiesa – o meglio, quella porzione di Chiesa che è loro assegnata: parrocchia, diocesi… ecc. – una specie di giocattolo personale nel quale e attraverso il quale esprimere le loro vedute e attuare i loro progetti. A quel punto quella che dovrebbe essere la Chiesa di Dio – strumento di salvezza per il mondo intero – perde la sua ragion d’essere e si snatura trasformandosi in qualcos’altro; propriamente in un amplificatore più o meno vasto – a seconda che si tratti di una parrocchia, di una diocesi o di un movimento ecclesiale – della “voce” non del legittimo Padrone ma di un semplice “salariato” che ne ha preso proditoriamente il posto e ne ha usurpato il ruolo. E allora a quel punto la Chiesa – o meglio la “porzione” di Chiesa in questione – cessa la sua vera funzione per non servire più a nulla se non ad essere espressione personale di questo o quel prete o di chi per lui… Ma un processo analogo lo si può riscontrare anche a livello personale nel momento in cui il singolo credente pretende di “impossessarsi” del proprio essere, anima e corpo, e del proprio destino per gestirlo a piacimento, dimenticandosi che il nostro essere non appartiene a noi ma a Dio: “…Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo.” (1Cor 6, 19-20a). Ecco, nel momento in cui noi avanziamo pretese di autonomia, pretese cioè di fare secondo i nostri criteri, di gestire quella “vigna” di Dio che siamo noi stessi – la nostra anima, il nostro corpo, la nostra esistenza… - secondo criteri nostri e ci “impossessiamo” di noi stessi, allora in quel momento noi usurpiamo ciò che non è nostro, lo rendiamo – il nostro essere – non più strumento di salvezza per noi e per gli altri nelle mani di Dio ma espressione dei nostri capricci, dei nostri criteri personali, del nostro arbitrio… E così invece di servire alla nostra e altrui salvezza, il nostro essere – strappato dalle mani di Dio e ridotto al nostro potere – diviene addirittura ostacolo alla nostra salvezza e, perché no, a quella degli altri. Quando l’uomo prende possesso di ciò che non appartiene a lui ma a Dio finisce sempre per generare distorsioni e perversioni che non portano a nulla di buono; nella misura in cui lasciamo a Dio ciò che è suo e lo “gestiamo” secondo i suoi voleri, in tutta umiltà e docilità, portiamo frutti di vita eterna per noi, per gli altri e per quella Chiesa che, come cristiani, ci è affidata…


Padre Stefano
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