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MIO SIGNORE E MIO DIO

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Domenica 23 aprile 2017

MIO SIGNORE E MIO DIO…


La pagina del Vangelo dell’incredulità di San Tomaso, che la liturgia cattolica assegna da secoli a questa prima Domenica dopo Pasqua (appunto perché l’episodio si svolse otto giorno dopo la Risurrezione) ci pone davanti all’esigenza di una Fede forte e sicura, senza tentennamenti e senza cedimenti. Certi commentatori moderni – e certi predicatori – vogliono vedere in questo episodio una giustificazione dei dubbi che attanagliano l’uomo contemporaneo; l’apostolo Tommaso sarebbe la prefigurazione di quelle “legittime” incertezze che abitano nell’animo del credente del giorno d’oggi, “illuminato” dalle scoperte scientifiche e dal progresso tecnologico. Ma, a leggere un po’ bene la pagina evangelica – un “po’ bene” appena, perché il messaggio balza all’occhio senza bisogno di tanto studio – ci si accorge che Gesù non solo non giustifica affatto l’incredulità di Tommaso, ma addirittura lo sgrida perché non ha creduto prontamente. In altri brani del Vangelo Gesù rimprovera coloro che non hanno fede e non giustifica in alcun modo i loro cedimenti e le loro incertezze; è il caso, tra gli altri, di San Pietro che cammina sulle acque e in un momento di dubbio affonda “Uomo di poca Fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,31) o ancora la sera della Pasqua, quando Gesù, entrando nel cenacolo a porte chiuse, sgrida gli apostoli che non hanno creduto all’annuncio della sua Resurrezione, recato  loro dalle donne e dai discepoli di Emmaus (Mc 16, 14). Per certi cristiani contemporanei – teologi, preti, vaescovi, laici… - il dubbio non solo è legittimo ma addirittura è la riprova che la fede di quella persona è genuina – una specie di “dubito, ergo credo” dubito, dunque credo – viceversa si tratterebbe, secondo costoro, di una Fede esaltata, integralista, barricata dietro “false” certezze… Ma Gesù non la pensa affatto così. Fermo restando che il dubbio può ovviamente affacciarsi alla mente del credente – e fin qui nulla di male – esso non deve affatto essere coltivato ed incrementato, come se fosse bene dubitare; anzi, esso va certamente superato: con l’aiuto della Grazia di Dio cercata nella preghiera, con la propria buona volontà che “non vuole” lasciarsi portare dal dubbio, con la pazienza di indagare, di chiarire, di capire e di studiare, di confrontarsi col proprio padre spirituale, insomma, mettendo in atto tutti quei mezzi che un credente può avere a disposizione per superare l’impasse dell’incertezza e del dubbio. Se Gesù ha chiesto ai cristiani di ogni tempo di rimanere saldi in una Fede forte e sicura, tanto più lo chiede a noi, gente di un tempo contrassegnato dall’incertezza, dal relativismo, dalla confusione; un tempo in cui non c’è nessun appiglio sicuro se non la volubilità dei capricci umani, quei capricci che – come vorrebbe la mentalità corrente – assurgono a metro e misura dell’agire umano, dove ciascuno si crea individualmente la propria legge e i propri valori morali, così come preferisce. Un mare magnum dove non esiste nessuna indicazione. E secondo certi teologi contemporanei, anche la fede del credente dovrebbe navigare senza direzione in questo caos, per non arrivare, alla fine, in nessun porto… No, la Fede che Gesù ci chiede è una Fede ferma, forte, sincera, una Fede che – pur in mezzo alle tempeste che riserva la vita – sa mantenere la rotta, perché sa con certezza dove è diretta; una Fede ancorata a quel punto fisso, a quella stella polare che è Cristo, e che brilla al di là di ogni momento buio, per permettere di procedere sicuri, oltre ogni notte scura. Questa è la Fede che avrebbe dovuto avere Tommaso; questa è la Fede che Gesù vuole, questa è la nostra Fede.


Padre Stefano



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