VANGELO SECONDO LUCA 3,10-18 - Oratorio San Filippo Prato

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VANGELO SECONDO LUCA 3,10-18

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DOMENICA III DI AVVENTO – Anno “C”

Dal vangelo secondo Luca - Lc 3,10-18

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Nel leggere questo brano evangelico mi colpisce sempre l’equilibrio espresso dal Battista nel consigliare coloro che si rivolgono a lui chiedendo cosa devono fare per accogliere il Messia che sta per manifestarsi. Innanzitutto è importante notare che i suoi uditori – venuti da lui per ascoltare la sua predicazione e prepararsi ad accogliere la venuta del Salvatore – sentono l’esigenza di “fare” qualcosa, qualcosa di concreto nella loro vita che esprima la loro volontà di ricevere il Messia non solo teoricamente, con ragionamenti e parole, ma soprattutto con segni concreti del vivere. Si tratta evidentemente di quella conversione reale, fattiva, concreta del proprio essere e del proprio vivere che è esigenza primaria e basilare per far realmente entrare nella propria esistenza il Cristo: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.”(Mt 7,21). La salvezza è fatta di gesti concreti, di una conversione effettivamente  verificabile nella quotidianità; il Paradiso lo si conquista non con parole soltanto ma innanzitutto con i fatti. E dunque la gente chiede a Giovanni “cosa deve fare” e Giovanni – e qui sta la bellezza del suo insegnamento – il “radicale” Giovanni che vive rudemente coperto da peli di cammello, che vive nell’aridità del deserto, che si ciba di locuste e miele selvatico, ebbene questo Giovanni risponde con estremo equilibrio dicendo semplicemente ai suoi uditori che devono impegnarsi a vivere la loro vita di sempre, il loro mestiere, la loro quotidianità, nel bene, nell’onestà, nel mettere in pratica la Legge di Dio. Giovanni non esige che le persone abbandonino ogni cosa, che seguano il suo esempio in una scelta radicale di vita: non tutti hanno la stessa vocazione e Dio non vuole da tutti la stessa cosa, se non che amino Lui e il prossimo; poi, per quanto riguarda il “modus vivendi” la forma di vita, ciascuno ha la sua vocazione. Certo, il Cristo chiederà ad alcuni di abbandonare tutto e di camminare alla sua sequela (vedi Mt 4, 19-22) perché ha bisogno che essi lo seguano in questo modo per realizzare il suo piano di salvezza e collaborare in maniera particolare alla redenzione dell’umanità, ma ad altri – ai più – Gesù chiede semplicemente di vivere la loro vita quotidiana, le loro occupazioni, nell’amore a Dio e al prossimo, nell’onestà, nella giustizia, nel bene… E il Battista precede Gesù anche il questo, dicendo persino ai pubblicani – categoria odiatissima dal popolo ebraico perché si trattava di ebrei “venduti” al potere romano per riscuotere le tasse! – dicendo appunto anche ai pubblicani di fare il loro mestiere con onestà e rettitudine, senza approfittarne per accaparrarsi denaro in più. E ai soldati – dell’esercito romano? O la guardia del Tempio formata da ebrei? San Luca non lo specifica – chiede semplicemente di svolgere il loro compito con onestà senza approfittarne per angariare la gente e per impossessarsi anch’essi, come i pubblicani, di denaro e beni oltre alla loro paga. Giovanni dunque non inveisce contro queste categorie di persone così poco simpatiche al popolo, non dice loro di abbandonare il loro mestiere ma di svolgerlo onestamente: questo contribuirà a renderli capaci di accogliere il Messia che sta per manifestarsi. Per essere veri e buoni cristiani non è necessario fare chissà che cosa di eccezionale, non è necessario essere a tutti i costi dei cristiani “impegnati” in Parrocchia o nell’ambito sociale, nel volontariato… Per essere veri cristiani, per guadagnarsi il Paradiso, basta vivere ogni giorno mettendo in pratica la Legge di Dio, che porta al vero bene e ad una vita onesta e buona, basta amare davvero Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi, nella semplicità della propria esistenza quotidiana, nella famiglia e nelle relazioni umane di ogni giorno, nell’onestà del proprio lavoro, in una fede sincera…
Ma c’è invece un altro aspetto da rilevare in questa pagina evangelica, e questo è terribile e interessante nel contempo. Onde evitare di pensare che queste indicazioni del Battista siano “accomodanti” – del tipo “ma sì, va là, non ti preoccupare troppo, che tanto fa lo stesso…” – ecco che Giovanni evoca nientepopodimeno che il Giudizio di Dio: “Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile.” (Lc 3, 17). Il ventilabro – tradotto un po’ malamente con “pala” ma la pala non è la stessa cosa del ventilabro! – era uno strumento formato da due asticelle di legno unite insieme da un gancio che permetteva ad esse di essere flessibili; il contadino teneva una delle asticelle in mano e con l’altra, collegata alla prima appunto da un gancio snodabile, percuoteva il mucchio di grano raccolto e deposto sull’aia: alzando in questo modo i chicchi, la pula veniva portata via dal vento e il grano buono, più pesante, ricadeva sull’aia, purificato dalle scorie. In sostanza l’immagine evocata da Giovanni ci fa capire che coloro che si salvano sono “chicchi” pieni e ricchi di buona farina, mentre coloro che si perdono sono “scorie”, pula leggerina e inconsistente portata via dal vento; i primi cioè sono persone ricche di una umanità segnata dalla presenza di Dio in loro, ricche di vita spirituale, di fede, di amore, di speranza; i secondi sono esseri umani “vuoti”, senza spessore umano, senza Dio, senz’anima… Gesù userà al riguardo un’immagine ancora più forte. Mi riferisco alle sue parole sulla “Geenna” spesso ricorrenti nel Vangelo; la valle di Hinnom – della Geenna, appunto – che ancora si trova ai piedi della città vecchia di Gerusalemme (ora però è un bel prato fiorito nel quale spesso, in estate, si tengono concerti e spettacoli!) all’epoca di Gesù era l’immondezzaio della città dove ardevano costantemente i fuochi che bruciavano le immondizie; luogo impuro e schifoso, vietato agli ebrei (in effetti le immondizie vi venivano portate dai servi pagani) anche perché sotto il regno dei re Acaz e Manasse in essa si erano tenuti orribili sacrifici umani di bambini offerti al dio Moloch. Se Giovanni ci dice che coloro che non si salvano sono persone spiritualmente e umanamente vuote e inconsistenti, come la pula in balìa del vento, il “buon” Gesù rincara la dose: per Lui coloro che non si salvano, coloro che non lo seguono, sono addirittura…immondizia dell’umanità, “scarti” da buttare nel fuoco perché assolutamente non buoni per fare alcunché, destinati ad un luogo schifoso – l’inferno appunto – e immondo. La forze di queste due immagini – quella evocata da Giovanni e quella, ancora più forte, evocata da Gesù – ci ricorda che coloro che vogliono seguire Cristo, coloro che vogliono salvarsi, devono essere persone ricche: ricche di un’umanità espressione della vera immagine di Dio che è nell’uomo, ricche di sensibilità e di attenzione; ricche di vita spirituale, ricche di fede sincera e forte, di speranza viva, di amore concreto; persone ricche di ogni ricchezza autenticamente umana e spirituale; insomma persone “piene”, “pesanti” nel senso bello, cioè appunto ricche e dense di santa umanità. “Tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante” (vedi Dn 5,27) ; che il Signore Gesù, quando verrà, possa trovarci non mancanti e vuoti, ma ricchi di autentico spessore umano, quello cioè che è espressione del nostro essere a sua immagine e somiglianza e che attraverso la vera ricchezza umana rivela l’immagine e la presenza stessa di Dio che vive in noi.




Padre Stefano


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